TRASFIGURAZIONE: IL PRIMATO DELL’ASCOLTO

 

Carissimi, benvenuti a San Francesco per celebrare insieme il Giorno del Signore; siete venuti nonostante il caldo, e nel tempo che solitamente ci prendiamo per un po’ di riposo. Oggi, 6 Agosto, la liturgia della domenica cede alla celebrazione della TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE, che cade a data fissa, oggi appunto. Ne abbiamo appena ascoltato il racconto dall’evangelista Matteo: “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte, su un alto monte”. Gesù ha fatto la scelta che tanti di noi vorrebbero fare in questi giorni: andare in montagna, inoltrarsi nel bosco, per lunghe soste, per respirare aria buona e per ascoltare, nel silenzio, i fremiti e le tante voci della natura, soli con se stessi e soli con Dio. E’ bello anche solo sognare tutto questo.

     Anche Gesù ha fatto sognare: la sua Trasfigurazione ha fatto esclamare a Pietro che era troppo bello essere presente all’evento di luce e di gloria, offerto da Gesù sul Tabor; e si rendeva disponibile a piantare tre tende per prolungare quella visione di paradiso. In effetti, la Trasfigurazione di Cristo è stata una momentanea anticipazione di ciò che sarà la sua gloria, quando farà ritorno al Padre. Prima della passione e morte, Gesù ha voluto schiudere una finestra sulla realtà del cielo, ai tre che, tra non molto, sarebbero stati con Gesù nel Getsemani, dove scopriranno un Gesù impaurito, tremante e angosciato; dove cominceranno a capire cosa significhi accettare la croce e dare la vita per amore.

     Amici, sarà capitato anche a voi, qualche volta, di esclamare: “E’ stato molto bello!” Forse è stato nel ricordare un momento molto bello della propria famiglia o della propria storia. Pietro ha fatto questa esclamazione  in un momento di grande euforia e di grande gioia; l’ha gridata, con gli occhi puntati sul volto luminoso di Gesù. Quel volto luminoso, sul Tabor, esprimeva la bellezza! Pietro è talmente fuori di sé, che propone un soggiorno, una sosta, anche se breve, con il Maestro, insieme a Mosè ed Elia. Ai tre apostoli viene data conferma sulla vera identità di Gesù che stavano seguendo verso Gerusalemme.

     Ma le sorprese non sono finite. Dal cielo, una nube luminosa li avvolge e una voce, di chi si dichiara il Padre di Gesù, proclama:”Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento, ASCOLTATELO” . Amici, questa parola del Padre segna il momento più importante dell’evento vissuto sul Tabor. San Giovanni della Croce dice che Dio, dopo aver pronunciato queste parole, in un certo senso, si è fatto muto, perché aveva detto tutto; null’altro c’era più da rivelare. “”Ascoltatelo”: L’invito è chiaro: è infatti l’ascolto della Parola rivelata che ci fa conoscere la volontà del Padre e che ci fa discepoli del Signore. Il Vangelo è il luogo dove Gesù ci attende per dirci le parole di Dio e le risposte alle tante nostre domande. “Ascoltatelo”: il Padre ricorda che non ci parla attraverso maghi, indovini, cartomanti, oroscopi, e nemmeno attraverso le note pratiche esoteriche; ma solo attraverso gli insegnamenti di Gesù, che troviamo nei Vangeli.

     Ai discepoli di allora – e a noi, oggi – il Padre ha indicato una sola via, la sua: ascoltare Gesù, il Figlio amato. La Parola di Gesù ha una sua potenza nascosta, come quella che ha il seme gettato nella terra, con capacità propria di generare vita nuova, abbondante, trasfigurata. Ecco perché la Voce dalla nube ci richiama con energia al primato dell’ascolto. Arricchiamo anche le nostre ferie con tempi prolungati di silenzio e di ascolto; è la risposta a un grande desiderio del Padre: che ascoltiamo la voce di Gesù non solo nel Vangelo, ma anche nel Magistero della Chiesa; e che ascoltiamo anche la voce della nostra coscienza. Ascoltare queste voci, richiede di mettere a tacere le chiacchiere, le distrazioni, le vanità, le nostre passioni.

     Ascoltare Gesù consente anche a noi di vederlo “trasfigurato”, e di assaporare la pace della sua presenza. Oggi, la gloria del Tabor e la voce dalla nube hanno investito anche noi, perché anche noi impariamo ad accettare, nella pace, le nostre prove e le nostre croci. “Alzatevi e non temete”: sono le ultime parole di Gesù prima di scendere dal monte. Sono anche per noi, che siamo venuti a cercare l’aiuto del Signore. “Alzatevi e non temete!”.  Amen.

 

     Con la parabola ascoltata, Gesù continua la sua catechesi sull’uso della ricchezza. Gesù ha voluto ricordare che, al termine della vita, avviene un rovesciamento delle situazioni vissute in questa vita: il ricco precipita nell’inferno; il povero è accolto nella gioia del Cielo. Detta così, la parabola potrebbe essere interpretata come una rivincita di Dio – o peggio, come una vendetta di Dio – per far trionfare finalmente la giustizia. Certamente ogni uomo che giunge al capolinea della vita, deve rispondere personalmente davanti a Dio, del bene fatto, o non fatto, e anche del male compiuto. Ma, a richiamare la mia attenzione,  e a creare disagio nei miei pensieri, è la parola “ABISSO”. E’ la parola che mi ha riportato alla memoria una scalata, in cordata, nella mia giovane età. In salita, tutto bene; ma nella discesa mi sentivo letteralmente inceppato: il vuoto e il precipizio che mi stavano davanti agli occhi, mi terrorizzavano. E’ andato tutto bene, se no non sarei qui, ora. Ma quell’abisso posto tra il paradiso e l’inferno mi pone tanti problemi che vorrei condividere.

     Nella parabola ascoltata, il “grande abisso” è frapposto tra il ricco epulone e il povero Lazzaro, che troviamo già al di là della vita: è la distanza non più percorribile tra il paradiso e l’inferno; viene qui annunciato che dopo la morte non è più possibile nessun aggiustamento. Ma la parabola ha anche voluto ricordare che l’abisso del post mortem è già presente ora; perché è nella vita presente che uno sceglie in quale versante dell’abisso vuole collocarsi: se dalla parte dei poveri, o nel versante dei ricchi, nell’unico intento di godersi la vita. Sento dire spesso: “Ha soldi? Beato lui! Sono suoi, se li goda!” Espressioni che scavano quell’abisso che, col tempo, diviene invalicabile. Perché “invalicabile”? Perché questo “godersi la vita” fa chiudere gli occhi e il cuore, per non vedere chi ci vive accanto, nella povertà, nella malattia, nella solitudine. Il ricco non è condannato perché è ricco, ma perché la ricchezza l’ha reso insensibile e indifferente  verso chi soffre e lo ha isolato da tutti. Può essere che questo ricco non manchi mai alla Messa e che perciò si ritenga anche un buon cristiano. Ma il suo peccato è non essersi accorto del povero della porta accanto! Il suo peccato è ascoltare le tragedie che i notiziari TV quotidianamente ci portano in casa e aver concluso col dire: “E io che ci posso fare?”

     Allora cominciamo a capire che questo “grande abisso” non è voragine tra due pendii scoscesi, ma è il vuoto che l’uomo ha prodotto nel suo cuore, per escludersi dagli altri, per godere, da solo, dei suoi beni. Ma Gesù avverte che, il non fare nulla per gli altri, è male, tanto quanto umiliare e commettere soprusi  e ingiustizie. Il peccato del ricco della parabola è di aver visto quel poveraccio e di non aver fatto niente per soccorrerlo. E’ lo stesso peccato commesso dal sacerdote e dal levita che, a Gerico, videro il poveretto malconcio e hanno tirato diritto. E, badate bene: in questo discorso, non è importante la consistenza della ricchezza; il cuore non va a peso; va a misura d’amore! E allora dobbiamo chiederci: Quanto sappiamo amare? Quanto sappiamo mettere a servizio degli altri il nostro tempo e il nostro impegno? Il ricco della parabola è vissuto senza compassione. Il suo peccato è di non aver fatto nulla per soccorrere il povero, l’ammalato, l’indifeso; il suo peccato è l’indifferenza verso Dio che abita nel povero.  Papa Francesco ha più volte ripetuto che la carne e le piaghe del povero sono carne e piaghe di Dio!   

C’è allora una lezione da apprendere subito: Apriamo bene gtli occhi; guardiamoci attorno per accorgerci di quelli che attendono un aiuto. La solidarietà non è un optional. Benedetti quei genitori che danno l’esempio di  come si aprono le mani per soccorrere quelli che sono nel bisogno. Per lo più, i poveri non bussano alla porta; attendono, come Lazzaro, sulla soglia per raccogliere qualche avanzo, Educhiamoci, fratelli, l’un l’altro al dono, così che, questo clima di generosità, renda le nostre case il luogo dove è possibile realizzare il Regno di Dio,cioè la nuova società dell’amore, coprendo con l’amore il vuoto e l’abisso che vorrebbe separarci, per l’eternità, dai poveri e da Dio.  Amen.