CONVERSIONE E RICONCILIAZIONE

NELLA REGOLA OFS

 

 

P. Carlo Dallari

Appunti per il ritiro del 3 aprile 2004

 

 

 

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In questo ritiro cercherò di mettere in evidenza il cammino di riconciliazione, cui la Regola invita in modo deciso. I punti sui quali mi soffermerò sono i seguenti:

-         anzitutto, sul tema della riconciliazione, cuore del Vangelo,

-         in secondo luogo, sugli orientamenti di conversione/penitenza, che la Regola offre ai laici francescani per illuminarli nel loro cammino di riconciliazione.

 

Riconciliazione, forza del Vangelo nel cuore dell’uomo

 

«La Regola e la vita dei francescani secolari è questa: osservare il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo». Portare la nostra vita al Vangelo, affinché il vangelo entri nella nostra esistenza, nel nostro vivere quotidiano (cf. tutto il n. 4 della Regola). Ora, per il discepolo di Francesco d’Assisi, laico o religioso che sia, il cuore stesso del Vangelo è la riconciliazione. Nel suo nucleo essenziale, infatti, il Vangelo è la buona notizia che Dio, nella sua misericordia, ci ha riconciliato a sé in Cristo (2Cor 5,9). Noi siamo chiamati a dare a quest’annuncio la nostra adesione di fede e convertirci (Mc 1,15), per essere nel mondo testimoni autentici di riconciliazione e di pace.

 

[Uno sguardo alla terminologia]

 

Il termine «riconciliazione» esprime un concetto chiave non solo nel lin­guaggio francescano, ma anche nella coscienza dell’uomo d’oggi, duramente colpita dalle tante tragedie dell’odio e della violenza.

Nella sua derivazione latina (re-conciliare), «riconciliazione» fa riferimento a un incontro che ripristina i buoni rapporti esistenti in precedenza; rimanda dunque ad una restaurazione dei vincoli d’amicizia e d’affetto tra persone, spezzati a causa di conflitti, d’inimicizie o perfino di delitti. Nell’uso cristiano il termine è carico del suo significato biblico (katallagé), che fa riferimento a una trasformazione nelle re­lazioni, collegata al cambiamento di sentimenti, di atteggiamenti e di opinioni che avviene quando all’inimicizia subentra la pace, all’ostilità la comprensione, alla discordia l’armonia. L’effetto di questo mutamento si manifesta in un legame di profondo accordo ed anche di rinnovato affetto.

 

[Dono di Dio]

 

La sorgente della riconciliazione è Dio Padre, il quale, condizionato da null’altro se non dall’amore, per amore ci ha creati, continua ad amarci anche dopo il nostro peccato ed è alla ricerca di ciascuno e di tutti i suoi figli, per usare a tutti misericordia.

Egli opera la nostra pacificazione mediante il Figlio suo. Con l’obbedienza filiale spinta sino alla morte in croce, Cristo ha trasformato la nostra inimicizia in amicizia davanti a Dio: noi era­vamo «lontani», ora per mezzo suo siamo «vicini»; noi eravamo «nemici», ora siamo «amici»; noi eravamo nel «peccato», ora siamo «perdonati» e orientati a vita nuova. Egli «ha abbattuto il muro di separazione, abolendo nel suo corpo terreno la causa dell’inimicizia» (Ef 2,14). Cristo, inoltre, ci ha donato lo Spirito Santo, affinché crei tra noi una nuova comunione, la Chiesa, e porti a compimento in noi l’opera redentrice. Per mezzo suo noi ora possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo con tutta sicurezza «Padre nostro» e considerare ogni uomo, anzi ogni creatura, come nostro fratello o sorella.

Nel processo della riconciliazione sono presenti alcuni elementi di fondo:

 

¨       C’è un giudizio su una situazione avvertita come negativa, costituita da incompren­sioni, discordie, inimicizie, contese e divisioni che si vogliono superare con mezzi adeguati: il perdono, l’intesa, l’accordo, la ricerca di una nuova amicizia. Nel caso specifico del rapporto con Dio, la situazione negativa è rappresentata dal peccato. Dunque c’è un passaggio, un tendere verso un orizzonte nuovo di comunione, un progredire che forse non sarà sempre lineare, ma che sarà comunque necessario.

¨       C’è poi il perdono, quale iniziativa di grazia del Padre. Solo se ci disponiamo a prendere coscienza, nella fede, che Dio perdona, comprendiamo che siamo capaci di perdonare, dal momento che il perdono che l’uomo offre altro non è che lo stesso perdono di Dio che vuole raggiungere il cuore di ogni uomo. Dio, infatti, non nega il suo perdono, appunto perché è necessario all’uomo come e più del pane che mangia o dell’aria che respira.

 

Il perdono deve avere i requisiti essenziali della verità, dell’onestà e della giustizia. Va a colpire un male concreto, per sanarlo. Perciò esige che l’uomo riconosca il male operato, guardi in faccia le ragioni che l’hanno causato, compia i passi necessari ad eliminarne le cause e ne ripari il danno arrecato. Se così non fosse, sarebbe un perdono falso e l’uomo rimarrebbe prigioniero del male compiuto.

 

Il dono ci precede; è presente in noi, pronto a trasformarsi in sorgente di vita nuova, per renderci capaci di riversare la grazia della riconciliazione nei rapporti che intratteniamo con tutti gli altri uomini. La riconciliazione è il necessario fondamento della conversione.

(Ho sviluppato queste considerazioni in: C. Dallari, Nessuno sia lontano. Per una spiritualità della riconciliazione,  ed. Messaggero, Padova 2000).

 

[Conversione/Penitenza]

 

Il processo, mediante il quale, sotto l’azione dello Spirito del Signore, diventiamo fratelli riconciliati col Padre e tra di noi, porta il nome appropriato di «penitenza, o conversione evangelica (metànoia)». Conviene chiarirne il significato e le esigenze[1].

Secondo una definizione di Paolo VI, che ritroviamo ad esempio nelle Premesse al Rito della Penitenza, la penitenza consiste nell’«intimo cambiamento di tutto l’uomo, per effetto del quale l’uomo comincia a pensare, a giudicare e a riordinare la propria vita, mosso dalla santità e dalla bontà di Dio, che si è manifestata ed è stata a noi data in pienezza nel Figlio suo». Un cambiamento che interessa l’uomo nella sua totalità; e dunque un processo misterioso che non si ferma al comportamento o agli atteggiamenti esteriori, non si limita alla revisione di una qualsivoglia opinione o posizione, ma va ad interessare la radice della persona, il mistero dell’Io nella sua libertà di amare, di volgersi verso Dio e di accoglierne il suo libero dono d’amore; un processo che spinge l’uomo a lasciare che Dio riprenda un ruolo centrale nella propria esistenza.

Solo così l’uomo può cominciare a pensare in modo nuovo, a procedere ad un retto giudizio sui valori che debbono guidare la prassi e a decidersi per un rinnovato ordinamento della propria vita sulla base di questi valori. Tutto questo cambiamento produrrà i suoi frutti allorché si accoglieranno, come forza necessaria a compiere gli umili passi della conversione, l’amore di Dio, la sua santità e la misericordia riversata in noi con sovrabbondanza mediante Cristo.

Appare così con tutta evidenza la ragione per cui la penitenza/conversione evangelica è la chiave di volta di ogni riconciliazione: essa fa «convergere» in Cristo la comunità e, in essa, ogni singolo battezzato, poiché ogni vera conversione è conversione a Cristo. Non ci si converte, nel senso evangelico del termine, a un’idea, ad un movimento, ad un gruppo. È Cristo il centro di senso per ogni vivente, in quanto solo in lui possiamo trovare salvezza. Convertendosi a Cristo, si forma la Chiesa.

 

La grazia della riconciliazione innesca, dunque, in noi un particolare processo dello spirito, che chiamiamo «conversione». Questo processo ha alcune caratteristiche di fondo.

 

È un evento umano, personale, perciò non può risolversi in un processo puramente interiore, cioè in un pio sentimento o in un atteggiamento buonista. In quanto azione dell’uomo, la riconciliazione è sottoposta: alle leggi della concretezza, nel senso che tutto l’uomo ne è coinvolto, nella sua complessità di spirito, anima e corpo, con le sue facoltà, i sentimenti, la situazione ambientale, ecc.; alle leggi del tempo, cioè alla gradualità, ai tempi di maturazione, e quindi alla pazienza e alla capacità di ricominciare ogni giorno; infine, alle leggi della speranza, cioè alla fiducia, alla fedeltà e alla capacità della conversione.

Essendo un’azione, la riconciliazione esiste solo quando viene compiuta. Perciò il cristiano dovrà intessere relazioni positive con tutti, migliorare o cambiare i rapporti deteriorati dall’odio, dalla violenza, dall’ingiustizia e dalle incomprensioni; riallacciare i legami di comunione con i nostri fratelli. Infatti, solo se perdo­niamo realizziamo il perdono; solo se poniamo nuovi patti di pace, possiamo mettere in atto la pacificazione e possiamo parlare di pace senza cadere nella facile retorica che così spesso avvolge questa parola; solo se apriamo il nostro cuore gli uni agli altri, disponibili all’ascolto, alla sincerità della comunicazione e al dialogo, facciamo sorgere e risplendere il sole della concordia.

La riconciliazione non può interessare soltanto i rapporti con il prossimo. Dovrà recuperare l’armonia anche con le creature per la quale era stato creato. «Dio vide che ciò che aveva fatto era cosa molto buona»: l’intera creazione, e in essa ogni uomo, è stata impastata nella bontà di Dio; è forse possibile farne a meno?

 

In sintesi. Dono di Dio, la riconciliazione è la forza del suo perdono nel cuore dell’uomo. È il nucleo, il cuore del Vangelo; è la vera «buona notizia» che Cristo fa rimbalzare nell’animo disperato dell’uomo: il Padre vuole che, attraverso il Figlio, egli possa ritornare tra le sue braccia paterne.

 

 

La Regola

Sgorgata dal cuore di quell’«esperto in umanità» che era Paolo VI, la Regola è geniale nella sua formulazione.

Anzitutto è positiva: emerge in essa un grande senso della compassione e della misericordia. Si rivolge a uomini e donne che lottano quotidianamente con il peccato, la sofferenza, le privazioni e ogni sorta di male. Perciò non fa «prediche», non impone pesi più grandi di quel che un semplice battezzato può sopportare, non impone al negativo: «non devi», non insiste più di tanto sul peccato, non minaccia castighi. Apre alla speranza.

Ha un grande senso ecclesiale, che esprime centrando tutto sul cuore della intuizione francescana, la fraternità. In nessuna parte la Regola giustifica un approccio individualista, da navigatore solitario, alla penitenza; non giustifica neppure una visione pietistica, centrata sul devozionalismo o su pratiche da compiere.

 

Sin dall’inizio apre al senso della conversione e della riconciliazione: «Quali fratelli e sorelle della penitenza, in virtù della loro vocazione, sospinti dalla dinamica del Vangelo, conformino il loro modo di pensare e di agire a quello di Cristo mediante un radicale mutamento interiore che il Vangelo designa con il nome di conversione, la quale, per l’umana fragilità, deve essere attuata ogni giorno» (n. 7).

Posto all’inizio del capitolo II, che tratta della forma di vita, questo articolo risulta essere il perno attorno a cui ruota tutto il dettato della Regola. Ripropone in forma sintetica e con un linguaggio attuale il contenuto stesso del Prologo: chiamati dal Signore a seguirlo nella via della penitenza, i laici francescani accolgono il messaggio evangelico e rispondono con gratitudine e generosità, lasciandosi trascinare nel dinamismo della riconciliazione con Dio e con i fratelli, dando inizio a quella conversione/penitenza, che li condurrà a rimettere Dio al centro della propria vita.

In questo articolo si enuncia il senso della penitenza, sviluppato poi da tutto l’insieme della Regola. Esso contiene il segreto della vita cristiana: possiamo realmente cambiare il mondo, o almeno quella parte di mondo che è l’ambiente nel quale viviamo, puntando sul capovolgimento del nostro modo di pensare e di sentire, rimettendo Dio al suo giusto posto, nella sua vera casa, al centro della nostra esistenza e della nostra storia.

 

[«Incominciamo, fratelli…»]

 

In quanto siamo battezzati, siamo Chiesa di Cristo, convocati a formare una fraternità di uomini e donne riconciliati con Dio, investiti della missione di dare forma e volto nelle nostre azioni alla grazia della riconciliazione. La riconciliazione, dono di Dio, è per noi vocazione e risposta, passaggio ad una realtà nuova, a un «da farsi» continuo.

Come ogni altra vocazione, la riconciliazione è, per un verso, definitiva, poiché tali sono il dono e la promessa di Dio, che mai ritira quanto ha donato. Dono di Dio, la riconciliazione è una sorgente perenne a cui sempre di nuovo l’umanità può ricorrere lungo il suo pellegrinare. Sotto l’aspetto della responsabilità, la riconciliazione ha una dimensione radicalmente storica, e perciò è soggetta al tempo e alla variabilità della nostra risposta. Ciò significa che il dono divino della riconciliazione, perché possa trasformarsi in noi in sorgente di vita nuova, deve trovare da parte nostra la corrispondenza della penitenza/conversione, che «per l’umana fragilità deve essere attuata ogni giorno». In effetti, non sempre i tentativi di vivere la grazia della comunione sono coronati da successo; facciamo spesso l’esperienza della divisione e del peccato. La fedeltà di Dio e la nostra responsabilità devono entrare in dialogo, e questo dialogo accompagnerà i nostri passi, in un cominciare sempre di nuovo, data la nostra debolezza e la nostra fragilità.

 

[«Mossi dallo Spirito Santo…»]

 

È in questa situazione di concretezza storica che noi sperimentiamo il perdono del Padre. Nella sua misericordia egli effonde su di noi il suo Spirito, il quale ci introduce nella verità di Cristo e ci sospinge verso la perfezione evangelica; e Cristo, a sua volta, ci rende partecipi della sovrabbondanza della vita divina, riconducendoci al Padre. Esiste dunque uno stretto legame tra la presenza dello Spirito Santo in noi, il perdono divino e la riconciliazione. Gesù stesso aveva insegnato a non chiedere delle «cose», ma lo Spirito (cf. Lc 11,13), l’unica «cosa veramente necessaria» per i figli di Dio.

In effetti, è lo Spirito del Signore che «muove» lo spirito dell’uomo alla conversione, a «convergere» su Cristo. Il suo compito particolare consiste infatti nel radunare, raccogliere, unire in Cristo i figli di Dio per creare una comunione fraterna, la Chiesa. Di questo dinamismo ne è ben consapevole la Regola che, nel suo linguaggio, ad ogni versetto suggerisce l’idea di un passaggio, di un cambiamento, di un movimento che corrispondono a ciò che l’uomo deve operare, sotto l’azione dello Spirito, per puntare su Cristo. Sia sufficiente una qualche esempio:

 

-         Imitare il Padre nell’accoglienza dei fratelli (13)

-         Ricercare la persona vivente e operante di Cristo (5)

-         Seguire Cristo (10)

-         Conformarsi a Cristo mediante il mutamento/conversione (7)

-         Passare dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo (4)

-         Farsi strumenti e testimoni della missione della Chiesa (6)

-         Acquistare la purità di cuore (12)

-         Rendersi liberi per amore (12)

-         Cercare la giusta relazione ai beni (11)

-         Adempiere gli impegni (10)

-         Esercitare le responsabilità (14)

-         Mettersi alla pari con i piccoli e i poveri (13)

-         Farsi presenti nella società (15)

-         Costruire un mondo più fraterno (14)

-         Portare la pace, la gioia e la speranza (1)

-         Costruire le vie dell’unità (19)

-         Passare oltre la tentazione dello sfruttamento delle creature  (18)

-         Tendere nella serenità all’incontro con sorella morte (19).

 

Queste sono soltanto alcune indicazioni, sufficienti tuttavia per renderci conto di come la Regola abbia recepito il senso del dinamismo che lo Spirito imprime alla conversione.

La conversione, finalizzata alla riconciliazione, ha una duplice dimensione: comunitaria e personale.

 

[Una dimensione essenzialmente ecclesiale]

 

Prima del singolo, è la Chiesa nel suo complesso a dovere mantenersi nella tensione della conversione a Cristo, poiché mentre riconosce la santità della comunione cui è chiamata, avverte allo stesso tempo di aver bisogno di guarire dal peccato che ne intacca uomini e strutture. Non dimentica, infatti, che - mentre Cristo, «santo, innocente, immacolato», non conobbe il peccato, ma venne allo scopo di espiare i soli peccati del popolo - essa invece comprende nel suo seno i peccatori. Santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, essa deve incessantemente applicarsi alla penitenza e al suo rinnovamento (Lumen Gentium 8).

La Chiesa è dunque il luogo in cui si realizza storicamente la riconciliazione. Da un lato, infatti essa è la comunità dei riconciliati, segno che la riconciliazione è grazia, dono di Dio; dall’altro, è essa stessa comunità di riconciliazione, ministra, ambasciatrice del dono di Dio presso tutti gli uomini.  Perciò, nella misura in cui essa si lascia riconciliare da Dio e aderisce a lui con la mente e il cuore, può vivere la fattiva convivenza fraterna ed essere «sacramento di riconciliazione» per un mondo ancora dilacerato dagli odi, dalle divisioni e da ogni genere di violenza e ingiustizia.

Questa sottolineatura non è di poco valore per i laici francescani, poiché rimanda immediatamente al senso della fraternità: in quanto «segno della Chiesa» (Regola 22), la fraternità francescana secolare è il luogo in cui concretamente si attualizza e si manifesta la conversione e la riconciliazione di quella porzione di Chiesa che sono i membri stessi della fraternità… Ne consegue un imperativo di estrema attualità: per risolvere i problemi che ne interessano il vivere quotidiano, la fraternità Ofs deve ispirarsi all’esperienza stessa della Chiesa, e imparare dalla Chiesa come affrontare le difficoltà, se non vuole cascare in quegli errori, nei quali gli uomini, causa la propria insipienza, tendono solitamente a ricadere.

 

 

[L’itinerario personale della conversione]

 

Il cammino penitenziale implica diversi passaggi: la presa di coscienza del peccato, l’interiore pentimento e il sincero proposito di cambiare vita, passi avvertiti come condizione indispensabile perché la riconciliazione e l’amore di Dio diventino veri nella vita dell’uomo e della Chiesa. Ripercorriamo le tappe fondamentali di questo cammino.

 

1. L’uomo è chiamato a conversione poiché si trova in una situazione di peccato.

Cos’è il peccato? Ben più profondo della colpa (trasgressione di una legge, comando, norma, tradizione, abitudine, autorità), il peccato è mancanza di fede in Dio, è l’ostinato rifiuto dell’amore e della comunione con lui; è la volontà di autosufficienza, di egoismo, di chiusura in sé, mediante la quale l’uomo si autocondanna a «fallire il bersaglio», cioè il fine per cui Dio lo ha creato: la partecipazione alla vita divina. In sé il peccato è sempre e fondamentalmente disobbedienza a Dio, per cui è prima di tutto e sempre contro Dio («Contro Te, contro Te solo ho peccato, e quello che è male ai tuoi occhi io ho fatto», Sal 50). Non si pecca dunque contro una legge, una tradizione, un’usanza, o una persona... ma solo contro Dio. Nella misura in cui è contro Dio, il peccato diventa anche alienazione interiore, isolamento e frantumazione dei rapporti sociali. Non riconoscendo più Dio come Padre e tutore, l’uomo si ritiene libero di comportarsi verso gli altri simili secondo il proprio interesse, senza dover risponderne ad alcuno. Come Caino, nutre la pretesa di realizzare se stesso indipendentemente da Dio. Purtroppo per lui, questa pretesa è destinata a rimanere sistematicamente frustrata: avendo introdotto nella società il disordine, l’ingiustizia, lo sfruttamento e la violenza l’uomo ha condannato i propri progetti al fallimento.

 

2. Se vogliamo realmente volgere le spalle al peccato e ricostruire la verità e l’amore nel nostro stesso cuore, è necessario portare la nostra situazione di peccato nella luce di Dio. Affinché possiamo compiere questo passaggio, Dio ci dona il suo Spirito, ed esso ci muova al pentimento.

Lo Spirito agisce nel nostro spirito, aprendo la nostra coscienza alla comprensione della vera natura del peccato. La schiude, cioè, ad un nuovo senso del Dio vivente e la conduce alla scoperta della sua paternità misericordiosa. In questo modo, non solo ci dona una nuova vi­sione di noi stessi, dei nostri valori e delle nostre vere esigenze, ma ci rende anche capaci di nuovi rapporti con i nostri fratelli.

In quest’ottica, la coscienza si manifesta come uno spiraglio di salvezza che Dio ha lasciato nell’uomo, una possibilità di sfuggire dalla prigione in cui si era cacciato col peccato, un «orecchio interiore» per ascoltare la sua voce. Attraverso la coscienza l’uomo può incontrare Dio, proprio perché attraverso essa Dio gli si fa incontro e questi si apre al dialogo della riconciliazione e della salvezza. Prendendo coscienza che il peccato è rifiuto dell’amore, l’uomo comincia a desiderare il ritorno alla casa del Padre, da cui riconosce di provenire e nella quale si sente atteso da un amore che non conosce stanchezza. Accade il contrario di quanto è capitato al figlio prodigo, tornato solo per interesse.

È lo Spirito che spinge l’uomo ad una reale inversione di prospettiva. Non è sufficiente riconoscere e dispiacersi d’essere lontani da Dio, bisogna anche cominciare gli umili passi sulla via del ritorno, cambiare concretamente vita.

 

3. Lo Spirito, forza potente che crea e sostiene in noi il pentimento sincero dei nostri peccati, senza il quale non può esistere alcuna vera conversione, è, a tutti gli effetti, colui che opera il perdono di Dio in noi, è l’amore di Dio riversato nel nostro cuore.

Il perdono di Dio non rimane all’esterno di noi stessi, come un mantello che tutto copre e tutto lascia inalterato; penetra nel nostro io più profondo e agisce dal nostro interno per cambiarci, per salvarci. Proprio quando lo riconosciamo in noi e gli diamo il nostro assenso mediante la fede, cominciamo la vera risposta d’amore all’amore di Dio, la ricostruzione dell’armonia interiore e della fraternità con gli uomini e con tutte le creature.

La grazia del perdono, fonda in noi la disposizione a perdonare. Come dire: la riconciliazione diviene vera proprio nell’esercizio del perdono. Proprio mentre esercitiamo il perdono veniamo investiti dall’amore riconciliatore di Gesù Cristo. Ciò è da intendersi nel senso che il perdono che offriamo non è più soltanto il nostro, quello che sgorga dalla nostra personale generosità, ma è anzitutto il perdono di Dio che ci è stato donato. È questa la forza divina che ci sostiene nel compiere il gesto, per tanti aspetti eroico, del perdono dato all’offensore (cf. Mt 5,23s; 6,12.14s; Mc 11,25s).

Colui che così si comporta, agisce come Dio ha agito verso di lui (cf. Ef 4,32; Col 3,13; Lc 17,3ss; Mt 18,21s). Perciò comprendiamo bene come il dialogo, l’avvertimento e la correzione (cf. Mt 18,15s) possano salvare il fratello, nel senso che gli donano l’occasione di liberarsi dalla propria schiavitù. Mentre infatti il giudicare, il puntare il dito, l’accusa tendono a rinchiudere l’uomo sempre più in se stesso, il dialogo, la misericordia, il perdono sono offerta di liberazione e apertura ad una vita nuova. Cristo ci insegna poi che la sollecitudine per il fratello smarrito deve essere instancabile e la disposizione a perdonare illimitata (cf. Mt 18,21s).

 

4. Il perdono e il pentimento rendono manifesto il senso della confessione della colpa di fronte a Dio: essa consiste più esattamente in una confessione di fede in Dio Padre di misericordia. Contrariamente a quanto pensa il figlio prodigo, Dio non richiede alcuna confessione previa. Solo se comprendiamo la misericordia del Padre, possiamo anche riconoscere il nostro reale peccato e confessarlo. Il sacramento della penitenza è il luogo in cui lo Spirito rende presente nell’oggi della Chiesa e del mondo, l’unica e irrepetibile pasqua di riconciliazione del Signore. Da esso rinasce il cristiano, riconciliato con Dio e con la sua fraternità. L’evento sacramentale della riconciliazione e della penitenza è il culmine verso cui tende la conversione della Chiesa e, in essa, quella di ciascun cristiano, e la fonte da cui promana la forza del perdono e della riconciliazione da esercitarsi nella comunità degli uomini.

 

5. La festa e la gioia sono, alla fine, il degno frutto dell’esperienza della riconciliazione e la conclusione dell’umile fatica della penitenza. Gioia come partecipazione alla gioia del Padre, che ha riavuto vivo il proprio figlio. Anche il Padre fa festa, come più volte Cristo ci ha insegnato, proprio perché il suo cuore è stato in pena per l’abbandono dei suoi figli. La sua gioia è causata dal trionfo del suo amore, che tutto avvolge e tutto salva. La parabola del padre misericordioso merita di essere meditata in particolare sotto questo aspetto.

 

Conclusione

 

Riconciliazione e penitenza/conversione, pur essendo termini talvolta usati indiffe­rentemente nel linguaggio ecclesiale, non coincidono. Essi fanno riferimento ad uno stesso processo, considerato però da due punti di vista: il primo mette in evidenza l’iniziativa misericordiosa di Dio, il secondo, invece, chiarisce la modalità di un’autentica risposta dell’uomo.

Se dunque Dio non avesse l’iniziativa, esso sarebbe svuotato del suo contenuto e non avrebbe senso, poiché si risolverebbe in una serie di tentativi di riconquistare il paradiso destinati al fallimento, in quanto compiuti a partire dalle sole proprie forze. Se Dio non aiuta, l’uomo continua a rimanere prigioniero di se stesso e del suo peccato…

D’altra parte, anche l’uomo ha la sua parte, perciò il suo cammino penitenziale è una condizione necessaria affinché possa integrare nella propria vita il dono di Dio. È una questione di libertà e d’amore: il Padre ama, ma attende dai suoi figli, creati a sua immagine, che rispondano con quella capacità di amare di cui egli stesso li ha dotati.

La Regola Ofs coniuga penitenza e riconciliazione in una maniera geniale: introduce il principio del primato di Dio e privilegia l’operare secondo la carità, organizzando l’insieme delle norme con un linguaggio semplicissimo.

 

Valorizzando il primato di Dio, la Regola orienta i laici francescani a togliere Dio dall’emar­ginazione in cui viene relegato col peccato. Fa questo indirizzando decisamente i laici francescani a Cristo: essa insegna, infatti, a ricercare la persona vivente ed operante di Cristo; a imitarlo nell’adorazione del Padre, nel compimento della volontà, nella scelta della povertà e nel vivere relazioni di fraternità con tutti; ad assumere il suo modo di amare il Padre e i fratelli. In questo modo, innestati, mediante il battesimo, nella morte e resurrezione di Cristo, i francescani secolari possono camminare con tutta sicurezza verso la casa del Padre.

 

Valorizzando la risposta dell’uomo, la Regola dispone i laici francescani a diventare custodi di ogni fratello. Questo elemento viene sviluppato dettagliatamente, con un’attenzione particolare alle necessità dell’uomo d’oggi. Viviamo in tempi in cui la dignità dell’uomo è sempre più minacciata da ogni genere di violenza, di ingiustizia, dalla sfrenata ed arrogante affermazione degli interessi di parte, dalla manipolazione che non conosce più confini… La Regola coglie il profondo «grido di dolore» che sale da questa umanità battuta dai ladroni del nostro tempo e spinge i francescani secolari a farsi, come Cristo, «buon samaritano», a farsi prossimo, a divenire custodi premurosi di ogni fratello che incontrano sul loro cammino, superando quella mentalità cainesca, secondo la quale non siamo responsabili del fratello che vive accanto a noi.

 

In Cristo, Dio si fa Prossimo di ogni uomo. Perciò: «Va, e anche tu fa lo stesso. Diventa il custode di ogni fratello che Dio ti ha dato, diventa suo prossimo, prenditi cura di lui al di là del merito che può avere, e così adempirai la legge del Signore. Anche per te, nessuno sia lontano».

La Regola Ofs è decisamente in questa prospettiva.

 

 

 



[1] Su questo punto cf. Carlo Dallari, “Lasciatevi riconciliare”. La penitenza tra vita e sacramento, ed. Porziuncola, S. Maria degli Angeli 1995.