Percorso formativo per Consigli di Fraternità

 

LA SPIRITUALITA’ DI COMUNIONE

 

P. Giuseppe Marini

Bologna 6 dicembre 2009

 

 

 

La Lettera Apostolica “ Novo Millennio Ineunte “ del 2001, è il riassunto e il culmine di

tutta la riflessione che il Santo Padre, Giovanni Paolo II, ha fatto rileggendo i vari eventi

del Giubileo. E’ un invito a ripartire da Cristo con inserite alcune considerazioni pratiche. Il

Santo Padre, anche se lo mette all’ ultimo posto, cioè al quarto capitolo della lettera

apostolica, afferma che, prima di ogni tipo di organizzazione materiale, dobbiamo

“programmare “la comunità, come esperienza.

La lettera apostolica inizia con una bella immagine del vangelo che parla di Gesù, il quale

vedendo Pietro e i compagni tornare dalla pesca senza aver pescato nulla, li invita a

“prendere il largo”. Noi avremmo detto: “tu sai fare il falegname, non il pescatore”, ma

Pietro si fida della parola di Gesù e prende una grande quantità di pesci. Con questa

immagine il Santo Padre sollecita noi a ”prendere il largo”. Oggi, dopo circa nove anni,

siamo ancora distanti da questo cammino non per mancanze di proposte, di iniziative, di

attività; siamo distanti dal cuore di questo cammino.

Il capitolo quarto della lettera apostolica “Testimoni dell’amore” fa seguito ad una serie di

riflessioni, il Papa afferma che prima di una qualsiasi programmazione materiale

che ci conduca a “prendere il largo”, dobbiamo promuovere la comunione, non come

programma ma come esperienza di vita.

Il capitolo inizia citando il brano del vangelo:« Da questo tutti sapranno che siete miei

discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri » (Gv 13,35) è un momento culminante della

vita di Gesù, quello dell’Ultima Cena, prima della Passione e Morte. Possiamo dire che la

forza della Passione e della Morte è già presente nei gesti dell’Ultima Cena, la Lavanda dei

piedi è già Passione e Morte.

Durante l’Ultima Cena il Signore ci ha fatto cinque doni:

a)            il Servizio,

b)            il Comandamento Nuovo,

c)            il Sacerdozio e l’Eucarestia

d)            il Paraclito

e)            l’Unità

Prendo come icona per la nostra riflessione i capitoli dell’addio del vangelo di Giovanni,

dal cap13 al 17, noi li chiamiamo il testamento del Signore, il Signore in quel momento sta

approntando il dono massimo (ci ha tanto amato che ha dato la sua vita per noi) e ci

affida questi doni.

Ci dà il comandamento nuovo dopo aver purificato i discepoli con il gesto della lavanda dei

piedi, dopo aver creato anche l’ambiente di intimità attraverso la rivelazione del traditore

che poi fa la sua scelta di lasciare il campo:“Giuda preso il boccone uscì subito, era notte”.

Non era solo notte fisica ma notte del cuore, l’esperienza tremenda a cui stavano andando

incontro anche i suoi discepoli, i quali non la compresero. In questa notte il Signore getta

questo spiraglio grande di luce, il comandamento nuovo “come io ho amato voi, così

voi amatevi a vicenda”. E più avanti dirà “Come il Padre ha amato me, così io ho amato

voi, così voi vi dovete amare”. Sono espressioni molto incisive, importanti, non è solo un

precetto che il Signore dà, ma è luogo concreto dove si realizza questo amore per Gesù e

per il Padre.

Giovanni ci vuol dire che l’amore è un dono di Dio, non è qualche cosa che parte da noi.

Questo comandamento ha una dimensione cristologica (Cristo è il confronto) e una

dimensione ecclesiale (a vicenda dobbiamo amarci). Tutto questo discorso prosegue

con “Se mi amate osservate i miei comandamenti e io pregherò il Padre e vi darà un altro

consolatore che rimarrà con voi per sempre. Lo Spirito di verità vi aiuterà a comprendere

tutto questo” Ci parla del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; l’amore che ci viene

proposto è un amore trinitario, all’interno di questa realtà di amore circola la vita trinitaria,

una vita di comunione.

Più avanti il Signore dice che per vivere questa esperienza di amore è necessario rimanere

in Lui. “Come io sono nel Padre e il Padre è in me così anche voi sarete in me” Chi mi

ama sarà amato dal Padre mio e io pure lo amerò e mi manifesterò a lui…. Se uno mi ama

osserva la mia Parola il Padre mio lo amerà e verremo da lui e faremo dimora presso di

lui”. Amando il Signore creiamo spazio alla Trinità che viene ad abitare in mezzo a noi.

All’interno di questo discorso c’è il paragone della vite:“Io sono la vera vite e il Padre mio è

il vignaiolo”. Più avanti insiste sul rimanere in Lui: “se rimaniamo in Lui portiamo molto

frutto”.“Come il Padre ha amato me anch’io ho amato voi; rimanete nel mio amore”.

Questo rimanere nel suo amore significa restare aggrappati a Lui come il tralcio rimane

aggrappato alla vite, altrimenti non porta frutto”

“Lo spirito di Verità che io vi manderò vi farà capire tutte queste cose.” Dove arriva lo

Spirito, qualcosa di straordinario capita sempre, sconvolge la situazione, non imponendosi

ma cercando la nostra disponibilità.

La preghiera conclude il discorso di addio ed è chiamata preghiera sacerdotale. Il Signore

insiste pregando perché coloro ai quali ha manifestato il suo nome e gli sono stati dati,

non vadano perduti e siano perfetti nell’unità.“Custodiscili, Padre Santo, nel tuo nome

affinché siano uno come noi, che tutti siano uno come Tu, Padre, in me e io in Te,

anch’essi siano una cosa sola in noi affinché il mondo creda che Tu mi hai mandato”.

L’unità vera è quella di comunione, non è semplicemente l’unione di tante realtà, di

tante persone. Verso la fine di questa preghiera insiste:“Ho dato loro la gloria che Tu mi

hai dato, perché siano uno come lo siamo Noi, Io in loro, Tu in me perché giungano alla

perfetta unità e il mondo possa conoscere che Tu mi hai mandato e hai amato loro come

hai amato me”. Il mondo conoscerà che Lui è stato mandato se noi siamo uno, se noi ci

amiamo come Lui ci ama, come il Padre ha amato Lui. E chiude questa preghiera: “Ho

fatto loro conoscere il Tuo nome e lo farò conoscere ancora, perché l’amore con il quale

mi hai amato sia in essi e io in loro”.

Sono solo accenni per dire da dove parte il discorso della comunione, amando Lui e

amandoci come Lui ci ha amato, la Trinità viene a prendere dimora in noi.

Prima di tutto dobbiamo prendere coscienza che la Trinità, l’amore di Dio è dentro

ciascuno di noi e, se noi seguiamo l’amore di Dio, saremo strumento di questo amore

per gli altri. “Da questo riconosceranno che siete miei discepoli se vi amerete gli uni gli

altri come io ho amato voi”.

Per Giovanni l’amore è la manifestazione di Dio e l’amore fraterno è il luogo in cui Cristo

continua a farsi presente. L’amore è il luogo del dono dello Spirito, è il luogo dell’incontro

della Trinità; “Verremo da lui (da ciascuno di noi) e faremo dimora presso di lui (cioè

presso colui che Lo ama)”. “Siate perfetti come è perfetto il Padre mio che è nei cieli”.

Lui ci invita a mirare alto, è puntando alto che forse riusciamo ad arrivare.

Questa esperienza del Signore trova il suo compimento nella Vergine Maria.

Maria compare nel Vangelo con l’Annunciazione, i padri pensano che l’annunciazione sia

avvenuta nel momento in cui Maria veniva accolta dal Signore, Maria, da quel momento,

vive l’esperienza di una comunione piena con la Trinità. Il Padre ha stabilito che il Figlio si

incarni per mezzo di Maria ad opera dello Spirito Santo e lei comincia a contemplare

questa esperienza. “Nel silenzio meditava tutte queste cose”.

L’amore, che Maria sperimenta dentro di sé, diventa ecclesiale, cioè si manifesta al

mondo, recandosi dalla cugina Elisabetta a servire e a condividere.

E’ la cugina che, mossa dallo Spirito Santo, riconoscerà quello che è avvenuto in Maria, e

la stessa Elisabetta è anche lei già immersa in un mistero di comunione perché sta vivendo

quello che è impossibile agli uomini ma è possibile a Dio.

Anche alle nozze di Cana, Maria interviene e provoca il primo miracolo, ai piedi della

Croce, è presente là dove la comunione poteva disgregarsi, e nel cenacolo dove i discepoli

avevano paura per la scomparsa del Signore, Maria rappresenta il legame tra i discepoli.

Giovanni Paolo II nella sua lettera apostolica dice: “L’altro grande ambito in cui occorrerà

esprimere un deciso impegno programmatico a livello di Chiesa universale e di chiese

particolari è quello della comunione che incarna e manifesta l’essenza stessa del mistero

della Chiesa. La comunione è il frutto e la manifestazione di quell’amore che, sgorgando

dall’eterno Padre, si riversa in noi attraverso lo Spirito che Gesù ci dona, ecco l’aspetto

trinitario. Non è una comunione che nasce semplicemente dal desiderio di star bene

insieme come uomini; prima di tutto è un dono che dobbiamo chiedere e per il quale

siamo chiamati a offrire tutto il nostro impegno perché si costruisca e si realizzi. E’ dono

dello Spirito “per fare di tutti noi un cuore solo e un’anima sola ed è realizzando questa

comunione di amore che la Chiesa si manifesta come sacramento ossia segno efficace e

strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”.

Viene citata la 1^lettera ai Corinti (cap13), possiamo fare tantissime programmazioni,

possiamo avere tantissimi doni ma se manca la carità tutto sarà inutile.

S.Teresina chiusa in clausura, conosceva le gesta di Francesco Saverio e degli altri santi e

si chiedeva: ”E io cosa faccio?.” Scoprì che la Chiesa ha un cuore, il cuore di Dio, quello

dell’amore, e allora disse:“Io voglio essere il cuore della Chiesa”. Scoprì che l’amore

racchiudeva tutte le vocazioni, che l’amore è tutto. Per questo la Chiesa l’ha dichiarata

patrona delle missioni pur non essendo mai uscita dal suo monastero di clausura.

Poi il papa indica negli artt. 43,44,45 gli aspetti della spiritualità di comunione ed

evidenzia che la comunione non è qualcosa di materiale ma deve avere un cuore e

un’anima:“Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione”. E’ una grande sfida che

ci sta davanti nel nuovo millennio”.

Che cosa significa questo in concreto? “Prima di qualsiasi programmazione, prima di

programmare iniziative occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola

emergere come:

- principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo, famiglia, scuola, dove

  si educano i ministri dell’altare, i consacrati gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità.

- sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi”.

Questo sguardo “è luce che va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto”.

Tutte queste cose ciascuno di noi deve farle sue e portarle anche all’interno della propria

vita di fraternità.

 - capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico,

   dunque come uno che mi appartiene per condividerne le gioie e le sofferenze, per

   intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni per offrirgli una vera e profonda amicizia.

- capacità di vedere ciò che di positivo c’è nell’altro per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio”.

- saper fare “spazio” al fratello portando “i pesi” gli uni degli altri (come ci ricorda

   S.Paolo in Gal 6,2) respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci

insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza gelosia”

Giovanni Paolo II continua: ”Non ci facciamo illusioni, senza questo cammino spirituale a

ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione; bisogna fare un cammino

spirituale, interiore. Diventerebbero apparati che fanno parlare di sé, fanno anche chiasso

ma sarebbero senz’anima maschere di comunione più che sue vie di espressione”.

“Gli spazi della comunione vanno coltivati e dilatati giorno per giorno ad ogni livello nel

tessuto della vita di ciascuna chiesa”. La comunione deve rifulgere nei rapporti tra vescovi,

presbiteri e diaconi, tra pastori e tra l’intero popolo di Dio, tra clero e religiosi, tra

associazioni e movimenti ecclesiali. La spiritualità della comunione conferisce un'anima al

dato istituzionale con un’indicazione di fiducia e di apertura che pienamente risponde alla

dignità e responsabilità di ogni membro del Popolo di Dio”.

“Questa prospettiva di comunione è strettamente legata alla capacità della comunità

cristiana di fare spazio a tutti i doni dello Spirito.

L’unità della Chiesa non è uniformità ma integrazione organica delle legittime diversità, è

la realtà di molte membra congiunte in un corpo solo, l'unico Corpo di Cristo (1Cor 12,12).

È necessario perciò che la Chiesa del terzo millennio stimoli tutti i battezzati e cresimati a

prendere coscienza della propria attiva responsabilità nella vita ecclesiale.

In particolare, sarà da scoprire sempre meglio la vocazione che è propria dei laici, chiamati

come tali a « cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio

ed anche a svolgere « i compiti propri nella Chiesa e nel mondo con la loro azione per

l'evangelizzazione e la santificazione degli uomini ».

Proprio per questo “ha una grande importanza, per la comunione, il dovere di promuovere

le varie realtà aggregative della Chiesa, occorre certo che associazioni e movimenti, tanto

nella Chiesa universale quanto nelle Chiese particolari, operino nella piena sintonia

ecclesiale e in obbedienza alle direttive autorevoli dei Pastori. Ma torna anche per tutti,

esigente e perentorio, il monito dell'Apostolo: «Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le

profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1 Ts 5,19-21).”

Questa espressione fa eco alla” Christifideles laici”, il 2^capitolo è infatti intitolato “La

partecipazione dei fedeli laici alla vita della Chiesa-Comunione”.

Questa lettera ha provocato una riflessione anche all’interno della famiglia francescana

attraverso la nota dei quattro ministri generali del 1989:

“come mistero di comunione, il popolo è adunato dalla volontà del Padre, del Figlio e dello

Spirito Santo, tutto questo avviene concretamente nella fraternità, che la Regola definisce

segno della Chiesa comunità di amore ( Reg. n.17).

Essi devono avere una sempre più chiara consapevolezza non tanto di appartenere alla

Chiesa ma di essere Chiesa.

Nel 1^art.la Regola dice: ”Animati dallo Spirito, nella famiglia francescana laici, religiosi

e sacerdoti, in modi diversi ma in comunione vitale e reciproca, intendono rendere

presente il carisma del serafico padre”.

Ciò avviene instaurando forme concrete di collaborazione che siano l’espressione della

reciproca comunione fra tutte le componenti della famiglia francescana.

Successivamente il discorso della comunione si allarga, sottolinea l'attenzione speciale che

deve essere assicurata alla pastorale della famiglia, all’impegno ecumenico; c’è l’invito a

“Scommettere sulla carità proiettandoci nell'impegno di un amore operoso e concreto

verso ogni essere umano”.Tutto questo ovviamente dovrà essere realizzato con uno stile

specificamente cristiano, saranno soprattutto i laici a rendersi presenti in questi compiti in

adempimento della vocazione loro propria”.

Le costituzioni OFS affermano che uno degli impegni affidati al consiglio di fraternità è

quello di creare comunione all’interno della fraternità “Ispirati a Francesco e con lui

chiamati a ricostruire la Chiesa si impegnino a vivere in piena comunione con il Papa, i

vescovi, i sacerdoti”.

“La vocazione all’OFS è vocazione a vivere il Vangelo in comunione fraterna

“La fraternità dell’OFS trova la sua origine nell’ispirazione di Francesco d’Assisi cui

l’Altissimo rivelò l’essenzialità evangelica della vita in comunione fraterna”

“Il ministro e il Consiglio vivano e promuovano lo spirito e la realtà della comunione tra i

fratelli, tra le varie fraternità”

Tutto questo per noi francescani come si concretizza?

Quando si è eletti nel Consiglio, la prima preoccupazione è quella di domandarsi” Cosa

dobbiamo fare?” Io suggerisco prima di tutto di conoscersi, di accogliersi, di amarsi. Ci si

conosce ma non da fratelli, anche se si fa parte della stessa fraternità o della stessa

regione. Forse ci conosciamo solo per quegli aspetti con cui ci esprimiamo normalmente

ma nel Consiglio siamo chiamati a un servizio di comunione con gli altri. La prima vita

fraterna la costruisce il Consiglio in se stesso nel dare ai ruoli quello spazio di comunione

necessario per camminare insieme.

Dobbiamo chiederci: come noi viviamo la comunione all’interno del Consiglio e nella

fraternità? Quanto ci adoperiamo perché ci sia questa comunione con i nostri fratelli?

Crediamo nella comunione?.

Dobbiamo accettare la fraternità per quella che è, ognuno deve camminare al fianco del

fratello come fa il Signore che si mette al nostro fianco, rallenta il suo passo. Il Signore,

dopo aver incontrato i discepoli di Emmaus, fa cenno di andare oltre ma viene invitato a

fermarsi con loro e rallenta il suo passo; ed è lì che Egli fa nascere qualcosa in loro.

E’ così anche per noi; il Consiglio deve essere pronto a mettersi al fianco dei fratelli.

Programmare iniziative è importante ma non è il fondamento, perciò tutta la realtà che il

papa ci ha prospettato bisogna costruirla giorno per giorno.

C’è un’ anima anche in tutte quelle realtà che sembrano solo istituzionali, ad es. la figura

dell’economo della fraternità, il contributo che si versa è segno di amore, segno di

comunione.